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L’indagine che rileva molti retroscena del rapporto tra azienda e lavoratore.

Se la molti lavoratori italiani risultano avere un lavoro part-time, spesso, non è per loro volontà. A trarre questi numeri è il risultato di un’indagine della Cgil che racconta al giornale Repubblica. A quanto pare, l’incidenza del “part-time involontario” è pari al 57,9%: la percentuale più alta di tutta l’Unione Europea. Per questo, il sindacato alza la voce e denuncia la situazione: “I part-time involontari e le condizioni di estrema flessibilità nell’uso degli orari rendono i lavoratori persone che si devono adattare al ciclo e agli orari delle aziende“. Il Sindacato aggiunge: “Come emerge anche dall’attività ispettiva condotta dall’Inail, in un rapporto regolarizzato a part time spesso si nasconde un full time irregolare“.

Part -time e salari bassi

I lavoratori a tempo parziale in Italia sono circa 4,3 milioni. Questo significa, che l’incidenza sul totale degli occupati è del 7% per gli uomini e del 31,1% per le donne. La retribuzione annua ammonta a poco più di 11 mila euro. Non solo ma con una occupazione discontinua scende a poco più di 6 mila. Per guadagnare di più, molti lavoratori fanno di tutto, ma a quanto a pare, alle aziende conviene il gioco delle cosiddette ore supplementari, che in pochi rifiutano di fare, mostrandosi sempre più flessibili e disponibili agli occhi del datore di lavoro, sperando in una stabilizzazione. Molto spesso, questo problema riguarda i più giovani, che in questo modo sperano che l’azienda decida poi di stabilizzarli.

Il confronto con l’eurozona

Dal confronto tra le maggiori economie dell’Eurozona, i dati Ocse dimostrano che un lavoratore a tempo pieno nel 2022 in Italia abbia ricevuto un salario medio di 31,5 mila euro lordi annui. Un livello nettamente più basso rispetto a quelli francese (41,7 mila) e  tedesco (45,5 mila). A determinare un minore salario medio in Italia, sono molti i fattori come “una maggior quota delle professioni non qualificate, l’alta incidenza del part time involontario (57,9%, la più alta di tutta l’Eurozona) e del lavoro a termine (16,9%) con una forte discontinuità lavorativa”. Da sottolineare che solo nel 2022 oltre la metà dei rapporti di lavoro cessati ha avuto una durata fino a 90 giorni. In sostanza, all’azienda interessa mantenere la flessibilità, spesso giocando con lavoratori più ricattabili di altri e senza rispettare procedure e parametri che garantiscano la sicurezza e la salute dei dipendenti.

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