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Sempre più diffuso il pinkwashing nell’ambito del marketing. Ma di che si tratta e che cosa si può fare per difendersi.

Pinkwashing, la pratica di marketing scorretta: cos’è

Quando le aziende si appropriano dei simbolismi messi in atto a favore dell’emancipazione femminile, così come delle cause delle donne per promuovere i loro prodotti, ma lo fanno in maniera superficiale, si fa riferimento al pinkwashing. Si tratta di una tattica di marketing oltremodo scorretta, che usa simboli femministi al solo scopo di fingere di sostenerli, senza offrire reale sostegno alle questioni di genere.

Quand’è che si può parlare di questa tecnica di marketing? Pensiamo, ad esempio, a tutte la campagne pubblicitarie che vengono messe in atto in eventi particolari, come il mese della salute della donna. Utilizzando la retorica della “consapevolezza al femminile”, vengono mandati messaggi scorretti. Alcune aziende, ad esempio, promuovono messaggi di emancipazione femminili e di diritti “in rosa”, ma le loro dipendenti sono costrette a svolgere turni massacranti e senza tutele adeguate.

Altre, invece, producono magliette con famosi slogan femministi, ma soltanto per puro marketing. Lo fanno, quindi, senza supportare attivamente le cause femminili nei loro processi produttivi, oppure nella cultura aziendale.

Come difendersi da questo fenomeno

Per poter contrastare il fenomeno, è necessario conoscerlo. Ancor più necessario, sembra essere utile conoscere la storia dell’azienda in sé. Meglio scegliere aziende che offrono davvero un impegno nelle cause femminili e non superficiale, così come collaborazioni con enti non profit. Possiamo, inoltre, controllare le certificazioni di responsabilità sociale. Non solo. Possiamo anche scegliere di partecipare in modo attivo alle discussioni pubbliche, al fine di smascherare quelle aziende che sfruttano i movimenti per i diritti sociali, solo per esigenze di marketing.

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E’ importante non confondere questo fenomeno con il “rainbow washing”. Questo, infatti, fa parte di una pratica simile, ma che è orientata esclusivamente verso la comunità LGBTQIA+. Tali fenomeni sono considerati come pubblicità ingannevoli, sebbene non esista ancora una legge che effettivamente le vieti.

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