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Mentre l’Unione Europea si lancia con vigore nella corsa verso la sostenibilità, le auto elettriche diventano la punta di diamante di questa trasformazione ambientale.

Con l’obiettivo di un futuro più green, le politiche europee spingono per un’accelerazione nell’adozione di veicoli elettrici, con una crescita significativa delle immatricolazioni. Tuttavia, questa transizione sfrenata verso l’elettrico solleva dubbi critici e pone interrogativi che vanno oltre la mera celebrazione dei progressi tecnologici.

La mobilità elettrica si estende dai due alle quattro ruote, promettendo una riduzione dell’inquinamento acustico e della CO2. L’Europa vede una crescita del 39,7% delle immatricolazioni di auto elettriche rispetto all’anno precedente, con paesi come l’Olanda e la Francia in forte aumento. Tuttavia, questo entusiasmo si scontra con la realtà italiana, dove il mercato dell’auto elettrica si ferma a un esiguo 3,7%, nonostante un incremento del 54% rispetto al 2022.

I segnali di un ripensamento strategico sul passaggio all’elettrico provengono ora anche da Wolfsburg, sede di Volkswagen, simbolo di un’industria automobilistica che sembra interrogarsi sui tempi, le modalità e la stessa fattibilità di un abbandono totale dei motori termici.

Carlos Tavares, amministratore delegato del gruppo Stellantis, ha espresso pareri che riflettono questa nuova prudenza. Egli sostiene che un veicolo elettrico in Europa deve percorrere 70.000 chilometri prima di bilanciare l’impronta di CO2 generata dalla produzione della sua batteria, sollevando la questione: è preferibile mantenere auto ibride termiche efficienti o spostarsi verso veicoli completamente elettrici che potrebbero risultare inaccessibili per le classi medie? Il dibattito è aperto e sociale, come sottolineato da Tavares, e la recente mossa di Stellantis di presentare un nuovo motore turbodiesel, insieme all’annuncio della BMW di investire in una nuova gamma di motori endotermici, benzina e diesel, sembra sostenere questa visione più eclettica.

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La crisi dei microchip ha contribuito notevolmente a questa riflessione, mostrando che la carenza di semiconduttori, che ha esteso i tempi di attesa per l’acquisto di nuovi veicoli, ha ripercussioni anche sui tempi di transizione all’elettrico, dal momento che le auto elettriche richiedono più chip rispetto a quelle a combustione. Questo intoppo tecnologico, unito a questioni strutturali come disuguaglianze geografiche e un mercato di consumatori ancora limitato, sta portando a un ripensamento strategico.

Il dibattito si infiamma poi quando si considerano i costi e le infrastrutture ancora inadeguate. Il prezzo minimo per un’auto elettrica in Italia è di 25 mila euro, una cifra non alla portata di tutti, evidenziando una lacuna nell’accessibilità che potrebbe rendere l’elettrico un lusso piuttosto che una norma. Gli incentivi governativi, mal progettati e sottoutilizzati, non riescono a spingere adeguatamente il mercato.

I vantaggi ambientali dell’auto elettrica, se pur evidenti, vengono oscurati da preoccupazioni di natura economica e industriale. L’eliminazione delle emissioni di CO2 dall’uso dell’auto è un chiaro progresso, ma si tratta di una vittoria isolata. La transizione green rischia di penalizzare soprattutto l’Italia, leader nella componentistica automobilistica, dove il costo per sostituire l’intero parco circolante nazionale di autovetture potrebbe raggiungere l’astronomica cifra di 1.045 miliardi di euro.

I critici sostengono che la politica europea, influenzata dagli interessi economici di giganti come la Cina, sia troppo severa e non tenga conto delle reali esigenze dei cittadini e dell’industria automobilistica europea. La decisione del 2035 di fermare l’immatricolazione di auto a benzina o diesel lascia intravedere una luce per i carburanti e-fuels, ma le biomasse vengono scartate per la loro incompatibilità con gli obiettivi zero emissioni.

La questione si fa ancora più complessa quando si considera il contesto globale. L’UE si muove verso una drastica riduzione delle emissioni di CO2, mentre altre parti del mondo perseguono transizioni energetiche meno punitive. La politica dei diktat e delle penalizzazioni è vista da molti come un ostacolo piuttosto che come un incentivo verso un futuro più sostenibile.

Per quanto riguarda la produzione di energia, l’Europa si trova davanti alla sfida di ridurre la dipendenza dalle fonti fossili. Ad esempio, per raggiungere gli obiettivi UE del 2030, l’Italia dovrebbe installare 8 gigawatt di rinnovabili all’anno, un obiettivo che al momento appare lontano. La Francia si distingue per il suo investimento nel nucleare, mentre Germania e Polonia mostrano ancora una forte dipendenza dal carbone, un punto critico che richiede azioni decise da parte degli Stati membri per un cambiamento.

In conclusione, mentre l’Europa si impegna nel suo cammino verso l’ecosostenibilità, le domande sulla fattibilità, l’equità e la praticità di tale transizione rimangono aperte. La strada verso il 2035 è costellata di buone intenzioni, ma gli ostacoli economici e infrastrutturali sollevano dubbi sulla possibile realizzazione di una rivoluzione elettrica veramente democratica e inclusiva.

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